mercoledì 24 ottobre 2012

Fiamma olimpica e valori

 Non troppo spesso ma, a volte, accade che un programma sportivo in tv, condotto da professionisti veri, esamini, attraverso seri approfondimenti e opinioni illustri, l’evoluzione storica del concetto di vittoria partendo dallo spirito che arde nel braciere olimpico sino alle esasperazioni dello sport business attuale. Il viaggio della Sacra Fiamma richiama la visita che, nell’antichità, i tre Araldi Sacri compivano per tutta l’Ellade proclamando i Giochi imminenti presso il recinto sacro di Zeus, appunto Olimpia . Per conseguenza, le cerimonie religiose occupavano una parte sostanziale dei cinque giorni dei Giochi, sostituite, con l’andare del tempo fino ai nostri giorni, da un nuovo tipo di spiritualità, meno mistica e più legata agli dei da tubo catodico, agli indispensabili Sacerdoti del Tempio, agli sponsor salvezza di ogni disciplina sportiva. Il culto della Vittoria, oggi come allora. Solo lei portava la gloria. La partecipazione, l’attività agonistica come tale, non era una virtù : la sconfitta portava vergogna eterna. Lo spirito competitivo permea tutta la nostra società, nonostante il vituperato De Cubertin e la sua teoria dell’importanza dell’esserci, persino le scarpe sportive più alla moda richiamano i benefici dell’alata dea del trionfo. Vinco, quindi sono. E l’aberrazione del concetto di vittoria consente ad addestratori poveri di spirito e cultura sportiva di infangare, oggi come allora, il significato profondo della competizione , di deturpare il valore dell’agone sportivo. Già il filosofo greco Aristotele approvava l’Educazione Fisica per i giovani ma poneva in guardia i maestri del tempo dagli effetti dannosi di una precoce specializzazione sportiva intensiva. Un inno all’Attività Motoria educativa. Un valore che il tabernacolo olimpico ha il dovere di salvaguardare, perché, qualunque sia la disciplina proposta, focalizzi l’attenzione sullo sport vissuto come crescita umana, oltre che come sacrosanto spettacolo di campioni. E di bravi maestri l’A.S.Varese 1910 ne conta molti, educatori che dispensano sapienza motoria, slegati dal credo da “Processo del Lunedì”, ottimi tecnici dell’infanzia che, negli anni, hanno saputo riempire di contenuti educativi uno sport facilmente inquinabile come il Calcio, facile preda di isterismi da superficialità, ma da loro ricondotto alla dimensione di gioco, da far gustare a legioni di bambini felici di divertirsi correndo con un pallone tra i piedi, immaginando di essere Ronaldinho, Kakà, Neymar, accendendo la fiamma della gioia sportiva, del divertimento che è apprendimento, è intelligenza. Non solo motoria.
                                                              Marco Caccianiga                       

mercoledì 29 agosto 2012

Verità e palloni sgonfi

Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. Stralcio del pensiero di un uomo di Calcio d’altri tempi, filosofia rischiosa ed affascinante con adepti-non temete, nessuna barba a punta, occhi inettati di sangue, cinture bombarole o artifizi simili-un po’ ovunque. E’ una norma di vita all’apparenza innocua, si presenta bene, sintassi precisa, parole al loro posto, concetto chiaro e lineare. Io aggiungo temeraria, imprudente, audace.  E pericolosa. Esistono, ahimè, menti che non hanno la capacità di riflettere autonomamente. Necessitano sempre di qualche aiutino, pensare con la propria testa è sforzo erculeo, difficile, serve il sostegno. Persino approfondire è fatica, fisica e mentale. E, come sempre, chi paga dazio è la Verità. Gli antichi la associavano  al vino, la Chiesa Cattolica sostiene che si manifesti in Dio, i matematici la contrappongono alla dimostrabilità-non tutto ciò che è vero è dimostrabile-, i poeti sostengono che risieda nei sogni. Esercizi di stile, troppa cultura… Torniamo con i piedi ben saldi al terreno! E diciamo-una volta per tutte- le cose come stanno. Poeti? Matematici? Santi e profeti? Un tubo! La verità soggiorna ben salda nel mondo del Calcio! Si accomoda sul divano, si stiracchia, produce fusa, mangia frutta, beve succhi tropicali. Scende dal piedestallo e, sensuale ed ammaliatrice, si insinua, prende possesso, sotto mentite spoglie, dei concetti, dei significati, delle opinioni. E’ duttile, si trasforma, si cela. E colpisce. Nulla è ciò che è. Modifica e deteriora le idee. Un punto di vista diventa l’unica cosa che conta. L’impegno, il sacrificio, la serietà si inquinano, mettercela tutta non è abbastanza. E poiché vincere a tutti i costi cozza con il concetto di onestà, si aprono scenari leciti ed illeciti, l’autostrada della menzogna-ecco un travestimento della verità-è sgombra di traffico e intasata dalle menti piccole. E i cervelli bonsai, anche nel numero di neuroni, sedotti dalle frasi ad effetto, si crogiolano nelle spire incantatrici dell’unica cosa che conta. Danneggiassero solo se stessi non sarebbe un problema. I babbei calcistici, purtroppo, calpestano i diritti dei più deboli. Sapete già dover si va a parare… Parlo dei bambini. Esisti se vinci. Ti premio se vinci. Sei educato ma non vinci? Conti zero. Ti impegni e rispetti le regole ma non vinci? Sei un dannato incapace. Grazie allo sport hai fortificato il carattere, socializzi meglio, sei un bimbo felice e accresci la tua autostima ma non vinci? Brucerai all’inferno. Le parole pesano, le frasi hanno un significato. Parliamoci chiaro, c’è un’unica cosa che conta. Anzi due. Passione e libertà. Passione di trovare soddisfazione in ciò che si compie e libertà di prendere a calci, gioia suprema, le teste sgonfie degli allocchi che non pensano, ma galleggiano nella melma della propria dabbenaggine.
MARCO CACCIANIGA

lunedì 20 agosto 2012

Cinquanta e più sfumature...

Troppo breve. Attendi, assapori, chiudi gli occhi, ascolti il mare e, come d’incanto, tutto finisce. Istantanee di una vacanza, la solitudine del crepuscolo a contatto della risacca, tornata preda dei gabbiani, senza umani. Solo il vento, i colori del dio negro Oxumarè, padrone dell’Arcobaleno e il desiderio di essere parte del popolo bahiano dei saveiros che veleggiano sui capelli di Yemanja. I sogni muoioni all’alba. Eccoci di nuovo sul pezzo, pronti ad una nuova stagione, tra genitori asfissianti, allenatori ululanti, piccoli dirigenti assetati di grandezza. Varia umanità, un piccolo mondo che, se vogliamo, è fotocopia della società. Ma ci sono loro, gli eroi buoni, i bambini. Impari tanto, impari tutto. Gli splendori e le miserie, partecipi alla festa della vita. Perché con i bambini biancorossi è sempre una festa. Ed il sintetico si trasforma in Senato Accademico dell’allegria.  Cosa resta del time out marino? Gli amici, la musica, le grigliate, le partitelle. E i libri. Già. Nel periodo estivo divoro letteralmente qualsivoglia tomo, testo, opera accuratamente catalogata, schedata durante l’inverno, pronta per dipingermi la vacanza. Non so voi, ma io odio leggere a spizzichi e bocconi, iniziare un libro e, vuoi per impegni e scarsezza di tempo, abbandonarlo e riprenderlo magari qualche giorno dopo. Ricordo pochissimo, fatico a penetrare i personaggi, la storia si annacqua, il romanzo vira a pettegolezzo. Si dicano di me le peggiori nefandezze, ma non si sostenga che passano più di due giorni prima che abbia terminato un romanzo. L’ombrellone è la mia dimora, il lettino la reggia, lo zainetto la Biblioteca Reale di Alessandria. Autori brasiliani, romanzi storici, biografie di uomini illustri. La mia vacanza è una flebo di parole, racconti, cronache, resoconti. Adoro le storie. Storie di Uomini, nazioni, maestri del pensiero, eroi che alimentano il sogno, pescatori romantici, pericolosi jagunços, vagabondi e cortigiane. Come sostiene il mio “papà” del pensiero Jorge Amado, una storia si racconta, non si spiega. Non sopporto l’intellighenzia un tanto al chilo, il libro di moda, la spocchia del so tutto io. E mi diverte osservare i coinquilini balneari a tempo determinato, immersi nelle loro letture, spesso consigliate da settimanali gossipari. E dalla personalissima classifica dei bagni Nettuno di Varigotti, emerge che il libro più gettonato è “50 sfumature di grigio-nero-rosso” (si, perché è una trilogia. Inizialmente, visti i colori, pensavo fosse la storia della squadra di calcio brasiliana del San Paolo) di E.L.James, scrittrice americana. Mi incuriosisce. In fondo, legioni di bagnanti pendono dalle pagine di quel libro e pare abbia venduto milioni di copie. Svelerà, di certo, chi è il vero assassino di JFK. Lo chiedo in prestito alla vicina di ombrellone. Mi bastano tre pagine. Il solito porno-soft intellettuale. Mi sento come Fantozzi quando dichiara cosa pensa del film “La Corazzata Potiemkin”. In quarta di copertina, testuale, “ciò che ogni donna vorrebbe”. Ora di cena, Chiara la Santa apparecchia la tavola. Mi lancio. “Ascolta Chiaretta – le chiedo – ma se io facessi come quello del libro che leggono in spiaggia, ti prendo, ti lego, ti attacco su come una caciotta, magari ti do anche qualche sberla, tu, visto che pare che ogni donna aneli a questo destino, saresti d’accordo?” I verdi occhi della regina del focolare mi trapassano come un dardo. “Vuoi che ti dica dove depositarti il cordame?” Basta la parola…
MARCO CACCIANIGA

venerdì 25 maggio 2012

Io Gioco

Ciao, mi chiamo Ivan, ho 11 anni e frequento la Scuola Secondaria Dante Alighieri di Varese. Cerco di studiare e di impegnarmi con risultati non sempre ottimi!
La mia passione è lo sport, in particolare tennis e calcio. Ho praticato per due anni il tennis che con l'inizio della scuola ho dovuto sospendere in quanto associato agli impegni scolastici ed al calcio, i miei genitori hanno reputato troppo gravoso. ECCO, IL CALCIO! La mia vera passione!!! Trascorro ore a sfogliare album di figurine, leggendo e rileggendo le caratteristiche di tutti i calciatori, guardo e riguardo partite vecchie e campionati: LIGA, BUNDESLIGA, PREMIER LEAGUE, CHAMPIONS LEAGUE.
Gioco a calcio da quando avevo 5 anni, guidato tra giochi, scivoloni e tanto divertimento dal mitico Mister Caccia che, tra un " FORZA TRICHECO SVIZZERO..." e " HAI I PIEDI COME UN FERRO DA STIRO..." ha insegnato a me e tutti i nanetti biancorossi che scorrazzavano sul campo, rispetto delle regole, educazione e soprattutto che il calcio è pur sempre un gioco. Dopo cinque anni sono sempre un tricheco biancorosso, negli anni ho conosciuto diversi Mister. Quest'anno la nostra guida è Mister Piccoli, che io e i miei compagni stimiamo ed ammiriamo, non solo perchè riusciamo a vincere il campionato, ma soprattutto perchè, quando sbagliamo, ci fa comprendere l'errore e poi con voce pacata e amorevole dice "BRAVO, NON FA NIENTE, VAI AVANTI NON PREOCCUPARTI".
Dimenticavo, il mio ruolo è portiere, posizione non facile come potrebbe sembrare, certo non devo correre, ma quando durante una partita prendo un goal a volte mi sento in colpa verso i miei compagni, penso che forse potevo essere più veloce, oppure potevo uscire prima dalla porta. E poi penso..." MAGARI I MIEI COMPAGNI NON SI FIDERANNO PIU' DI ME..." Invece, terminata la gara, sia che vinciamo o no, il Mister ci riunisce tutti in cerchio, ci abbracciamo, urliamo e tutti i miei pensieri svaniscono.
Il mio sogno sarebbe fare il calciatore anche se i miei genitori mi ripetono che la cosa più importante è studiare. Il mio è un sogno! Anche perchè il calcio che mi hanno insegnato non è fatto di cattive notizie al Telegiornale e titoloni sui giornali.
Il mio calcio è uno sport, una passione, un gioco. Allora...io continuo a giocare!

giovedì 26 aprile 2012

Nato libero

Leonidas De Souza Neto Pereira è nato libero, con l’entusiasmo cresciuto per strada, sulla spiaggia, palleggiando la vita ed il Calcio, in quel Brasile che ne è l’essenza stessa, terra di calciatori e musicisti uniti da un’unica, indivisibile saudade che non è rimpianto ma nostalgia. Neto è come il Caporal Martim- straordinario protagonista di romanzi di Jorge Amado sopraffino narratore brasiliano- è umile, è capace, è nobile d’animo, è “alegria do povo”. Già, come Garrincha. Il terreno del Franco Ossola ha sopportato, in anni di storia,  il peso di numerosi giocatori, alcuni veri artisti, altri onesti pedatori, altri ancora mediocri comparse. Il beneamato Sacro Monte, gigante buono, maestoso, la nostra storia,  ha benedetto giocate e partite da leggenda, momenti cupi e gioie infinite.  Poi la Via Sacra lo ha accolto , un brasiliano atipico, riservato, silenzioso, direttamente dalla cittadina paranaense di General Carneiro , professione attaccante atterrato molto tardi nel calcio professionistico. Familiarizza con gli altri suoi connazionali in maglia biancorossa, si allena per vincere la nostalgia. E, si sa, “Deus è brasileiro”, dicono dalle parti di Rio de Janeiro. Neto si muove in punta di piedi, giorno dopo giorno è sempre più padrone dei colori biancorossi, il terreno di gioco è il suo rifugio,l’erba è verdeoro. Ne conosce ogni stelo, lo analizza, lo stritola, lo vezzeggia. E poi, accade. Neto dribbla, Neto l’antilope, è pura danza, imprendibile, la palla incollata ai suoi piedi alati, è lui, il Garrincha dei mondiali del ‘ 62, il Cielo lo ascolta, è gol. Ed io ritorno studente di Liceo Classico, dribblando la noia di Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, entrando in tackle scivolato sull’insulso giovane Werther. Avevo bisogno di forza, di grazia, di sogno, sempre. E mi rifugiavo nel  mio Brasile. A distanza di anni ho rivissuto quelle emozioni, i dribbling di Leonidas Neto Pereira sono cibo per l’anima, sono il Calcio, sono il sorriso dei bambini che ancora si divertono a giocare in barba ai Cavalieri Neri, orchi ululanti. Ed il colore, il calore, l’armonia, come in un samba di Martinho da Vila, si sprigionano ad ogni jogo de bola del moschettiere verdeoro nella terra dei Padao… E tutto ciò ci fa stare bene. La tua allegria è la nostra speranza, il desiderio di tornare alla semplicità di Manè Garrincha, oggi più che mai reincarnato in Neto. Vola passerotto, dribbla anche la nostalgia,  naviga felice, le onde non torneranno più.
                        Marco Caccianiga-Scuola Calcio A.S.Varese 1910
    

giovedì 29 marzo 2012

Canmp tutto calcio? No grazie...

L’Educazione Fisica sta vivendo, dopo anni, un periodo di legittima riaffermazione. In principio fu strumento per la formazione del cittadino-soldato, Platone ne ampliò il significato considerandola,   con la musica, il perno della umana educazione. Una perversa concezione la relegò a fulcro per la ricerca di grottesche ipertrofie muscolari, il Rinascimento la identificò come strumento unico ed universale dell’anima, dittature di ogni ordine e grado la usarono come vessillo, stemma, simbolo di machismo esasperato. Il lento fluire del tempo ha seppellito l’idea del corpo-recipiente e spirito-contenuto. Molti progressi si sono compiuti da quando Emanuele Kant considerava l’Educazione Fisica un allevamento che comprende le cure date ai bambini dai genitori o dalle badanti. Oggi, grazie all’impegno di tanti insegnanti ed operatori, essa è da considerarsi la strada maestra da percorrere per raggiungere la meta di una completa ed efficiente educazione della personalità. Persino le società sportive si attrezzano per il compito educativo che, a buon diritto, le investe. Sono sempre di più, infatti, gli insegnanti qualificati che operano con i bambini nella fascia di età scolare, dal rugby all’hockey, dal nuoto al calcio, all’atletica leggera, allo sport educativo. La diffusa richiesta di attività motoria da svilupparsi nell’arco dell’anno investe di grande responsabilità i sodalizi sportivi. Ecco, allora, la massiccia presenza, in periodo estivo, di Camp polisportivi che propongono svariate attività, non solo sportive, di grande impatto e apprezzate dai ragazzi e relative famiglie. L’A.S.Varese 1910 non si è mai sottratto  al proprio compito educativo ed ha sempre  proposto, non in contrapposizione ma a completamento della offerta motoria, Camp che non ponessero sul trono solo Sua Maestà il Calcio . Dal lunedì al venerdi dalle 8 alle 18, immersi nel verde, i ragazzi, suddivisi in gruppi e guidati da insegnanti ISEF ed allenatori qualificati, vivono una straordinaria esperienza di sport e di vita. Calcio, tennis, nuoto, passeggiate, pranzo tutti insieme, ed ancora uscite guidate, tornei interni, giochi e tanto divertimento   Fair play da ambiente naturale, attività che rifuggono dalle quattro pareti della palestra tradizionale, una immensa gita scolastica con momenti ludici, spazio compiti e tanto sport. I ragazzi escono da queste esperienze entusiasmati e rinfrancati. Lo spirito di gruppo, la collaborazione, il valore dell’amicizia, i principi dello scoutismo, sono tesori che il giovane si porterà appresso per sempre, la capacità di sapersi guardare intorno, cogliere ogni particolare, misurarsi con se stesso e con gli altri. E poi il privilegio di effettuare movimenti, gesti tecnici, ludici e sportivi in un quadro ossigenante sollecitando le proposte motorie in una radura o tra i sentieri di un bosco. Ricordo gli anni novanta ed i Camp della Robur et Fides a Chiesa Valmalenco, con l’insigne prof. Gianni Chiapparo prima ed il prof. Fabrizio Natola poi  in cabina di regia. Pallacanestro, nuoto, camminate, cimenti alpini, attività motoria di ogni specie. E la sera in albergo, i responsabili trasformati in improbabili mamme a cullare i più piccoli, tabernacolo di aneddoti da leggenda. Volatilizzato il prof. Natola ! Devo illustrargli il programma per la giornata successiva, ma è scomparso. Ma io so dove trovarlo… Primo piano, da una camera provengono rumori di voci e risa. Entro. Il prode guerriero, stremato, è riverso sulla sedia, bocca spalancata, libro di favole in mano, beatamente abbandonato tra le braccia di Morfeo, mentre tre satanelli di sei anni gli dipingono il viso con i pennarelli. Tracce di vita da Camp. Ricordi indelebili di esperienze di vita e di sport.
Marco Caccianiga                                                                                                                                        

mercoledì 14 marzo 2012

Febbraio 2009. Amichevole Italia-Brasile a Londra. Ricordi e Sensazioni

Londra. Victoria Station è proprio come riprodotta sulle stampe dei libri delle medie. Bus rossi a due piani, gente di ogni tipo, clima britannico. Torno indietro di trent’anni. Già i brividi mi hanno pervaso alla fermata di East Croydon, paesaggio da Lego, case di mattoni rossi, cornici bianche, pergolati e romantiche donne inglesi. Uno sdentato bigliettaio apostrofa il mio compagno di merende Bobby Bof, il silenzio british dello scompartimento è turbato dalle profonde riflessioni di Edo Frattini e Giannino Bof, la terza e quarta caravella della compagnia. Londra come Rio, fratelli verdeoro ovunque. Alla sera amichevole di lusso Italia-Brasile, la vera finale di ogni mondiale. Nel bene e nel male il calcio è bicolore, giallo come la fantasia, l’estro, la creatività, la gioia e l’azzurro della grinta, della forza fisica, volontà e sacrificio. Fraternizzo immediatamente con i figli della terra del Samba e del Pandeiro e il Caccia è un Cangaçeiro, terribile brigante della caatinga arida del nord est brasiliano. Foto, baci e abbracci e poi via in albergo. Non credo abbia nemmeno un asterisco, altro che stelle, letti buoni per Pollicino e spazio vitale pari a zero. Ma siamo a Londra per vivere emozioni. Calcio e cultura. Gli schizzinosi storcono il naso, ma quanta storia in un pallone.  Underground, stazione di Holborn, chiedo a due enormi guardie la strada per Chelsea, destinazione Stamford Bridge, lo stadio, prima tappa del nostro football-tour. Al terzo rifiuto capisco che sono tifosi dell’Arsenal. Questione religiosa. Aveva ragione Giovanni Arpino, il calcio è un mistero senza fine bello. Bobby Bof carpisce con l’inganno le sospirate informazioni e saliamo sulla metro. Ogni fermata è colorata in mattoncini di porcellana incantevole di diverse sfumature, col nome in tinta sgargiante che mette allegria. Eccoci a Fulham Broadway, secondo le indicazioni. Traffico, case in mattoni , negozi. Sembra via San Martino più larga. Abbiamo sicuramente sbagliato. E poi compare lo stadio. Incredibile. Non c’è un parcheggio, alla partita vanno tutti coi mezzi. Il Chelsea F.C. storica squadra londinese, protagonista in Europa, gioca in un impianto nel cuore di un quartiere, a pochi metri da pasticcerie, barber shop, agenzie immobiliari, un asilo. E, come d’incanto, comprendiamo la bellezza del calcio britannico. Il senso di appartenenza, l’orgoglio di fare parte di un team. Visitiamo lo stadio senza segreti, accompagnati da una esperta guida che ci introduce negli spogliatoi, a bordo campo, sulle tribune, nel negozio ufficiale del club. Ce ne andiamo inebriati, un panino e via a Russell Square, la Mecca dei mercatini on the road. Due passi e calpestiamo il sacro suolo di Trafalgar Square, omaggiamo l’ammiraglio Nelson e la sua Royal Navy, bestia nera per francesi e spagnoli. Londra trasuda storia da ogni anfratto, ma il Big Ben ci richiama all’ordine, la splendida Clock Tower di Sir Benjamin Hall ci ricorda che abbiamo un match da seguire. Ci avviciniamo all’Emirates Stadium, sede della partita. Anche qui nessuna autovettura e case a ridosso dell’impianto. Lo stadio fa impressione, immenso, maestoso, accogliente. All’esterno festa, canti e balli, italiani e brasiliani insieme per ciò che si prospetta una notte memorabile. Sessantamila persone per un’amichevole. E’ la magia del calcio. Troviamo i nostri posti. Mi sento mancare, sono a ridosso del campo ! Bobo l’organista mi ha fatto un gran regalo… Eccoli. Vedo Robinho, Ronaldinho, Adriano il gordo e poi Elano, Lucio, insomma, i miei eroi. E mi trasformo nel bambino che sono sempre stato. Il riscaldamento dei verdeoro è musica, poesia, letteratura, non c’è differenza tra un tocco di Dani Alves ed un assolo di Airto Moreira, od un doppio passo di Robinho ed una novela di Amado, o ancora una fuga sulla fascia di Maicon ed una lirica di Guimaraes Rosa. Questo è il Brasile. Il mio Brasile. Calcio, musica, storia e cultura. Dunga è a due passi da me. Il mio eroe del 1994. E poi inizia il dominio verdeoro. Felipe Mello ed Elano presidiano con sapienza il centrocampo, Gilberto Silva l’architetto crea dighe insormontabili, Ronaldinho e Robinho colorano di pastello ogni tocco di palla, Marcelo, Lucio, Juan, Maicon, gli Evangelisti. D’improvviso, i gol. Due perle. Manè Garrincha dal cielo ha guidato i piedi vellutati di Elano e Robinho, mi ha sollevato da terra e scaraventato ad abbracciare tutti i fratelli verdeoro che mi circondavano !! Un delirio di risa, urla, pacche sulle spalle. Italia non pervenuta. In panchina i verdeoro salutano il pubblico, me compreso. Gli azzurri se ne vanno senza degnare di uno sguardo nemmeno un bimbo che si sbraccia davanti a Cannavaro. Mi sovviene una canzone di Milton Nascimento, l’arte è il sorriso di un bambino. Altra categoria. Fuori si festeggia. Si balla tutti insieme, azzurri e carioca. Per una notte, come Felona e Sorona, regna l’armonia, nel regno buio la luce risplende. Il mattino dopo manca una tappa. Il sacro ed il profano. Arsenal Station. Da piccolo amavo giocare a Subbuteo con gli omini a maglie rosse e maniche bianche, i gunners. Highbury, il vecchio tempio calcistico dell’Arsenal, ora abbattuto per il più maestoso Emirates Stadium,   mi appare nella sua semplicità. Ove c’era il campo, ora hanno costruito abitazioni.  Assolutamente incredibile. A pochi metri dall’uscita della metro vi era l’ingresso principale circondato dai cottage tipicamente britannici. Highbury Road e la mia mente vola a Fever Pitch, la straordinaria pellicola che racconta come il calcio possa essere colonna sonora di una vita e una lacrima di emozione riga il volto mio e di Bobby Bof, amici, fratelli, come nel film. Ma siamo a Londra e la Regina Elisabetta si offenderebbe se non passassimo a salutarla… Buckingham Palace. Edo Frattini commenta divertito il cambio della guardia. Ma incute rispetto, pare un luogo dove il tempo si è fermato, la storia è tutt’intorno a noi. E ci sentiamo, per un istante, sudditi di questa magia. Londra e il calcio. Londra e la storia. Anche Manè Garrincha, per un attimo, solo per un attimo, si inchinerebbe.
                                                                                                MARCO CACCIANIGA
                                                                                   Un tifoso brasiliano-varesino a Londra

mercoledì 29 febbraio 2012

Progetto Bimbo. Il Calcio alla Materna

Il porto sicuro, l’ormeggio protetto, l’unico luogo dove il gioco è allegria, emozione, onore. Benvenuti in Brasile. Cosi’ recita il sito Brasil Futebol. Il sorriso ha il colore verdeoro di Ronaldinho, simbolo di sport-allegria. In Italia ha il ghigno arrogante della Moggi Family, sorta di Compagnia delle Indie pallonara, usurpatori di sogni, di poesia e di vittoria. L’ipocrisia di un ambiente connivente, fatto di nani, ballerine, veline, pecorine, ha contribuito a cancellare il significato di gioco  dalla denominazione federale. Il sorriso è pianto. La gioia, frustrazione. Cancelliamo tutto e ripartiamo dalle praterie del sogno, dagli eroi immacolati, i bambini. La magia del gioco, la qualità dell’attività motoria, il valore dell’educazione. Riki Sogliano fu chiarissimo. Ricostruiamo il Varese Calcio, ridiamo corpo ai sogni del popolo biancorosso, usurpati da una gestione scellerata. Ma ripartiamo dalla città, dalle proprie radici, da una casa madre come il Franco Ossola, scrigno di stagioni sportive da incanto. A.S.Varese 1910 non è solo una squadra di calcio. E’ un forziere costruito con sapienza, è una brigata allegra di amici-amanti dei colori biancorossi sbiaditi dal tempo e dall’inettitudine. Ogni pedina è al posto giusto. E poi i bambini. La linfa vitale, il carburante del sogno, la pietra su cui si fonda la Cattedrale biancorossa. Il Progetto Bimbo dell’A.S.Varese 1910 è scuola di vita. Il gioco come magia, sorriso, divertimento. Il Calcio come strumento educativo lontano anni luce dalle esasperazioni agonistiche di manovali dell’attività motoria che uccidono le aspettative dei piccoli atleti. E la scommessa di coinvolgere i bimbi della Scuola Materna. Piccoli, certo. Troppo piccoli per coloro che vogliono Campionati ad ogni costo. Ma esempio di gioia dello sport per chi, come la famiglia Sogliano, crede che  il recupero della cultura sportiva debba partire da Peter Pan e dall’Isola Che Non C’è. Il campo in erba sintetica dello stadio Franco Ossola di Varese si trasformerà, da maggio, nel galeone di Capitan Red, nave educativa con mini equipaggio, pronto a salpare verso luoghi incantati di gioco, movimento, educazione. Osserviamo i bimbi quando giocano. Felicità, immaginazione, inventiva. Nel gioco realtà e fantasia si confondono influenzandosi. Il bambino impara a conoscere il proprio corpo in funzione dello spazio, del tempo, degli altri e delle regole. Nel gioco il bimbo non finge, non assume atteggiamenti falsi o viziati, ma si esprime nella sua realtà concreta, sviluppa la forma più elementare di intelligenza. L’esperienza motoria è educazione, se ben guidata è la base dell’apprendimento. La palla è il sussidio didattico più stimolante. Coordinazione, lateralità, agilità, destrezza. E poi i giochi di imitazione, di ruolo, di regole. Il campo dell’A.S.Varese 1910 diventerà la casa dei bimbi, familiare come il cortile di casa o la colorata aula dell’asilo. L’educatore non sarà allenatore, sarà amico, maestro, fratello maggiore. Il colore del sorriso, rappresentato dai bimbi della “cantera” biancorossa, scesi in campo a testimoniare che la rinascita parte dalla limpidezza del gioco, dal gusto di una corsa tra il verde del prato e l’azzurro del cielo, dal piacere di accarezzare un pallone. La palla, rotonda come il mondo, strumento indispensabile al divertimento. Il pallone, bucato dagli spigolosi affondi di gente senza scrupoli, riverita nei salotti del potere, anni luce lontana dal cuore dello sport, fantocci con cerchietto ed orecchino teleguidati dai Mangiafuoco del terzo millennio. I Bambini, il loro sguardo vivace, intenso, incantato, spazzerà via i cattivi maestri, dipingerà di gioia un semplice gesto, il gioco della palla. Per tornare a sorridere, come Ronaldinho.
MARCO CACCIANIGA-Scuola Caclcio A.S.Varese1910  

lunedì 20 febbraio 2012

Da qui, Messere, si domina la valle...

La lezione è alle battute finali. I bimbi sanno che , tra poco, sarà tempo di partitella. In breve il campo si riempie delle voci, dei suoni, dei colori dei bambini. Lo splendido scenario naturale che circonda lo Stadio Franco Ossola, immerso nella luce del crepuscolo, è dominato dal simpatico frastuono degli scriccioli biancorossi, impazienti di giocare sul campo “dei grandi”.  E mi viene da pensare. Il verde del prato e l’azzurro del cielo mi accompagnano al recupero dei sussidi didattici, palloni e casacche. Già, il pallone. Per un bimbo è divertimento puro, l’essenza del gioco, la felicità. Ma il Calcio ha passato il punto di non ritorno. Guardo i piccoli biancorossi zampettare sul rettangolo di gioco. Quello è il loro mondo, un’oasi felice ove Rooney gioca con Dani Alves e Cristiano Ronaldo palleggia con Fabregas. E poi arriva il lupo cattivo, perché solo nelle fiabe si vive felici e contenti. Qui, nel regno di Uncino, vi sono dei pirati che usurpano i sogni, orchetti senza dignità, avidi di tesori e della buona fede altrui. Piccoli uomini in debito col destino che li ha resi ricchi e famosi in cambio di una pedata al pallone. Ma non basta mai. Ingordi di danaro e supponenti nella consapevolezza di gestire la sorte delle partite. Catturati, chiedono pietà. Creature da sottobosco con i piedi di argilla. Finti eroi. Colpevoli del crimine peggiore, avere illuso i bambini. Maxima debetur puero reverentia, sosteneva Giovenale. Perché i bimbi credono. Credono nel loro gioco preferito, il Calcio. Come noi, che ci siamo dentro fino al collo. Sin dai tempi del Liceo,  jeans e Gazzetta, a sopportare la fastidiosa intellettuale condiscendenza di coloro che ti consideravano alla stregua dei “22 idioti in mutande”. Ma non potranno mai capire. Come fai a capire quando mancano pochi minuti alla fine e Buba ha sui piedi il tiro della promozione. E ti guardi intorno e vedi migliaia di volti stravolti dall’emozione, dalla paura, dalla speranza. E poi il fischio finale e tutti che impazziscono. Il nostro mondo finisce a giugno e riparte in agosto. Non c’è nulla di male in questo. Non troppo spesso accade, purtroppo, che l’erba grama intacchi la magia. Ci sono cose che non se ne andranno mai. Ecco il misfatto peggiore, il genocidio di migliaia di cuori, la rapina dell’incanto dei bambini.  Molti giornali lodano il “Modello Varese”, squadra e Società costruite con capacità e professionalità, pronti a stupire chiunque, ottenendo risultati insperati. Tutto vero, sacrosanto, reale ed oggettivo. Ma il Santo Graal è qui, sullo spazio verde dietro le porte del campo centrale, ove un allenatore conteso da tutte le TV e calciatori professionisti dal curriculum di tutto rispetto si lasciano contagiare dalla purezza del gioco, dall’entusiasmo dei bambini. Li osservo con emozione, mi sento completamente biancorosso. E sono orgoglioso che ci rappresentino. Sono Uomini e non semplici calciatori. Non c’è un Modello Varese. Ma l’A.S.Varese1910 è un modello per chiunque. Corrono, sorridono, scherzano con i bimbi. Rimanete cosi, vi prego comunque vada. Continuate a ridere , a parlare con i tifosi ed i giornalisti, a mantenere la faccia pulita. Ecco il segreto. L’umiltà di un gruppo straordinario. La forza del gioco di squadra, dell’armonia della musica che si sprigiona ogni volta che entri al Franco Ossola. E’ sempre e solo una partita di pallone, come dice Mister Sannino. Già, il pallone. Un mondo a spicchi di storie di vita, di vittorie e di sconfitte, di pirati ma anche di valorosi. Un meraviglioso mondo di eroi semplici, che mi aiutano a recuperare i birilli delle porte, mentre, cullati dai monti alle nostre spalle, rientriamo nella vita vera
                             Marco Caccianiga- Scuola Calcio A.S.Varese 1910    

venerdì 20 gennaio 2012

La Genesi biancorossa

L’incubo sta per materializzarsi. La scomparsa del calcio da Varese. Dall’alto un ordine. Rifare la Società. Già, come se fosse facile. Con le nuove regole, i comuni vengono coinvolti in prima persona nella ricostituzione di sodalizi scomparsi. Ma un Assessore allo Sport necessita di aiuto.  Il tempo di una cena al Bologna, dal Cesare, luogo di culto gastronomico e sportivo. Complice un menù da mille e una notte si pongono le basi per la rinascita. La macchina organizzativa si muove… Ci troviamo nel mese di luglio del 2004, i colori biancorossi arrivano al capolinea, cancellati , umiliati, depredati da una gestione scellerata. Il Varese Football Club non esiste più. Una parte di storia sportiva della nostra città scompare, sbiadiscono i volti degli eroi biancorossi, si agita nel sepolcro l’indimenticabile Commendator Borghi, rabbia e delusione avvolgono i tifosi. Il Capitano di Lungo Corso Riccardo Sogliano decide che è tempo di intervenire, Varese riavrà una squadra degna della città e chiama a raccolta, oltre all’Amministrazione comunale,  tutti i miti  di un tempo, a cominciare da Peo Maroso, ineguagliabile Telè Santana bosino. Gli ultimi dei Mohicani all’ombra del Sacro Monte, con il capo tribù Giancarlo Giorgetti,  si riuniscono, discutono,  abbozzano la nuova società e, finalmente, un assolato pomeriggio di un giorno da cani, vengono apposti i timbri e le firme alle carte federali , il bimbo biancorosso di nome A.S.Varese1910 nasce tra gemiti ed emozione. Il pacifico e sonnolento orologio del campanile del Bernascone segna le 17.05. Alle 18.00 di quello stesso giorno scadono i termini per la presentazione dell’iscrizione della squadra al Campionato di Eccellenza presso il Comitato Regionale Lombardo della F.I.G.C. a Lambrate. Panico. Frustrazione. Ma i duri cominciano a giocare. Impossibile raggiungere Lambrate in automobile a quell’ora. L’illuminato avvocato Sergio Terzaghi, consigliere comunale di altissimo livello, indirizza gli sguardi dei presenti verso il sottoscritto, dotato di moto Yamaha TDM 850, il Generale Giorgetti ordina, il Capitano Sogliano dispone ed io mi ritrovo proiettato sull’autostrada A8, quasi in missione per conto di Dio, con addosso i documenti più importanti della storia calcistica varesina degli ultimi vent’anni. Un contrattempo e tutto è perduto. Macino i kilometri, mentre nella sede operativa dell’intelligence civico i telefoni cellulari rincorrono i vari responsabili Federali, la parola d’ordine è Salvate il Soldato Motociclista. Arrivo all’ingresso della palazzina di Lambrate alle ore 17.50 dopo aver infranto ogni limite di velocità , mi tengo in contatto telefonico con il Sottotenente Terzaghi, a sua volta in linea con il Generale Giorgetti. Il portone è chiuso. Ho una visione, la mia casa data alle fiamme da ultras inferociti. Attendo, secondo i dettami di Terzaghi. Franco Ossola compie il miracolo. Un uomo appare d’improvviso, salgo le scale stile Blues Brothers, mi catapulto nell’ufficio, firmo per ricevuta. E’ fatta. Informo i miei superiori, l’avventura può cominciare. Il resto è storia recente.
Marco Caccianiga Scuola Calcio A.S.Varese 1910

lunedì 9 gennaio 2012

Cattivi maestri

L’Italia è un Paese di sportivi. Da salotto. Secondo una recente ricerca di mercato, il numero degli atleti da divano è di gran lunga superiore ai minatori dell’attività motoria, manipolo di eroi della fatica fisica, che, poi, è benessere, salute, fair play di vita. E’ curioso notare che chi pratica l’attività motoria, amatoriale finchè si vuole, ha un livello di credibilità inferiore rispetto a chi la predica dalla comoda poltrona. Eserciti di reverendi dello sport si inseguono dalle testate giornalistiche e televisive, si stracciano le vesti per rigori sbagliati, mete non trasformate, asticelle abbattute, record non polverizzati. E poi si scopre che mai, nella vita, hanno assaporato l’emozione di una sfida, il sapore di una sconfitta, l’intensità di un trionfo. Per le pari opportunità, tra codesti saccenti, ora vi sono anche le gentili esperte di sport in gonna ed autoreggenti. Ricordo i tempi del Liceo. Eskimo e scarponcini, zainetto e la rosea nella tasca dei jeans. Leggevo Gianni Brera, i quotidiani sportivi, parlavo di calcio, basket, sport. Gli intellettuali ti ritenevano un ritardato se discutevi di tali amenità, invece di concentrarti su Kant, Hegel, la critica della ragion pura, nutrimento del sapere. Ma un passaggio smarcante di Zico, un terzo tempo di Jordan, una veloce di Zorzi, nulla hanno da invidiare ad un procedimento di Cartesio. Sono geni, in campi diversi. Per loro era oppio dei popoli.  Gli antichi difensori della purezza del sapere a scapito della passione sportiva, sono gli stessi parassiti che oggi, con grande fair play da ipocrisia, pontificano di sport da qualunque salotto via cavo, ben remunerati, scrivono libri analizzando i contenuti positivi dello sport senza mai averlo vissuto in prima persona e dichiarano, come fece recentemente in tv una ex intellettuale sessantottina ora sportiva in guepierre, che “la motorietà è importante per i bambini “. Peccato che il termine corretto sia  motricità. E che il loro livore verso il movimento, visto in antitesi con lo sviluppo intellettivo,  abbia contribuito a rallentare la crescita di una cultura sportiva. Decenni di ipocrisie, approssimazione, dilettanti allo sbaraglio autoproclamatisi guru sportivi, hanno prodotto, soprattutto nel calcio, danni difficilmente riparabili.  Pochi dubbi su codesti “scienziati”. Chi non distingue una capovolta da una flessione, non poteva comprendere, allora come oggi, quale fosse il nocciolo del problema. Il settore giovanile nelle mani di semplici addestratori, privi di qualità educativa, legati al trionfo a tutti i costi, produce il nulla. Non stimola la crescita tecnica dei ragazzi, non ne rispetta i ritmi di apprendimento, non educa alla sconfitta. Pelè disse “ Ho vinto molto perché ho perso spesso “ . In Italia l’obiettivo è il reality show da cerchietto ed orecchino, pianti e lamenti in televisione, calciatori di categorie improbabili già dipinti come nuovi idoli. Non c’è partita, i nostri giovani vengono “bruciati” da incantesimi di carta, ne emergono solo alcuni rispetto al potenziale umano che suda sui campetti di periferia. Ed in questo pantano il Doni style impera, tra i peana dei farisei della pedata. Auguriamoci che la tempesta abbattutasi sul mondo del calcio spazzi via per sempre i Mangiafuoco e permetta a Pinocchio di trasformarsi in bambino, crescere e giocare, apprendere ed affermarsi, per la salvezza dei nostri settori giovanili.
                                   Marco Caccianiga
                               Scuola Calcio A.S.Varese 1910