L’Italia è un Paese di sportivi. Da salotto. Secondo una recente ricerca di mercato, il numero degli atleti da divano è di gran lunga superiore ai minatori dell’attività motoria, manipolo di eroi della fatica fisica, che, poi, è benessere, salute, fair play di vita. E’ curioso notare che chi pratica l’attività motoria, amatoriale finchè si vuole, ha un livello di credibilità inferiore rispetto a chi la predica dalla comoda poltrona. Eserciti di reverendi dello sport si inseguono dalle testate giornalistiche e televisive, si stracciano le vesti per rigori sbagliati, mete non trasformate, asticelle abbattute, record non polverizzati. E poi si scopre che mai, nella vita, hanno assaporato l’emozione di una sfida, il sapore di una sconfitta, l’intensità di un trionfo. Per le pari opportunità, tra codesti saccenti, ora vi sono anche le gentili esperte di sport in gonna ed autoreggenti. Ricordo i tempi del Liceo. Eskimo e scarponcini, zainetto e la rosea nella tasca dei jeans. Leggevo Gianni Brera, i quotidiani sportivi, parlavo di calcio, basket, sport. Gli intellettuali ti ritenevano un ritardato se discutevi di tali amenità, invece di concentrarti su Kant, Hegel, la critica della ragion pura, nutrimento del sapere. Ma un passaggio smarcante di Zico, un terzo tempo di Jordan, una veloce di Zorzi, nulla hanno da invidiare ad un procedimento di Cartesio. Sono geni, in campi diversi. Per loro era oppio dei popoli. Gli antichi difensori della purezza del sapere a scapito della passione sportiva, sono gli stessi parassiti che oggi, con grande fair play da ipocrisia, pontificano di sport da qualunque salotto via cavo, ben remunerati, scrivono libri analizzando i contenuti positivi dello sport senza mai averlo vissuto in prima persona e dichiarano, come fece recentemente in tv una ex intellettuale sessantottina ora sportiva in guepierre, che “la motorietà è importante per i bambini “. Peccato che il termine corretto sia motricità. E che il loro livore verso il movimento, visto in antitesi con lo sviluppo intellettivo, abbia contribuito a rallentare la crescita di una cultura sportiva. Decenni di ipocrisie, approssimazione, dilettanti allo sbaraglio autoproclamatisi guru sportivi, hanno prodotto, soprattutto nel calcio, danni difficilmente riparabili. Pochi dubbi su codesti “scienziati”. Chi non distingue una capovolta da una flessione, non poteva comprendere, allora come oggi, quale fosse il nocciolo del problema. Il settore giovanile nelle mani di semplici addestratori, privi di qualità educativa, legati al trionfo a tutti i costi, produce il nulla. Non stimola la crescita tecnica dei ragazzi, non ne rispetta i ritmi di apprendimento, non educa alla sconfitta. Pelè disse “ Ho vinto molto perché ho perso spesso “ . In Italia l’obiettivo è il reality show da cerchietto ed orecchino, pianti e lamenti in televisione, calciatori di categorie improbabili già dipinti come nuovi idoli. Non c’è partita, i nostri giovani vengono “bruciati” da incantesimi di carta, ne emergono solo alcuni rispetto al potenziale umano che suda sui campetti di periferia. Ed in questo pantano il Doni style impera, tra i peana dei farisei della pedata. Auguriamoci che la tempesta abbattutasi sul mondo del calcio spazzi via per sempre i Mangiafuoco e permetta a Pinocchio di trasformarsi in bambino, crescere e giocare, apprendere ed affermarsi, per la salvezza dei nostri settori giovanili.
Marco Caccianiga
Scuola Calcio A.S.Varese 1910
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